Un “cappotto” per i palazzi del Vesuvio

Grazie alla tecnologia della Nasa, l’Università Federico II di Napoli, in convenzione con l’impresa avellinese Irondom, sta studiando uno scudo che protegga gli edifici dal rischio eruzione. Il sistema permetterebbe anche di accrescere l’efficienza energetica delle strutture e la loro resistenza ai terremoti

Un “cappotto” per gli edifici pubblici e privati sul Vesuvio. Lo sta studiando l’Università Federico II di Napoli in convenzione con Irondom, un’impresa dell’avellinese. Si tratta di un sistema per proteggere i palazzi dai prodotti principali di un’eruzione: il deposito di tephra (pomici e lapilli) e i flussi piroclastici, “venti” composti da materiale solido e gassoso che vanno ad impattare contro le strutture a temperature elevate pari a trecento o quattrocento gradi centigradi. Di fatto uno scudo metallico, posto sulle pareti e sulle coperture “che consente di sopportare per un certo periodo di tempo queste pressioni permettendo alle persone di sopravvivere” spiega il professor Antonio Formisano, del dipartimento di “strutture per l’ingegneria e l’architettura” della Federico II. “E’ una soluzione che lavora a 360 gradi – aggiunge Formisano – perché rende l’edificio più resistente ad eventuali azioni sismiche e si pone in un’ottica di sostenibilità migliorandone le prestazioni energetiche ”.

Qui entra in gioco la Irondom. L’azienda di Chiusano San Domenico (provincia di Avellino), dell’imprenditore Alfonso Mastantuoni, è specializzata nella produzione di “passive house” (case passive) con la tecnologia stratificata a secco. In pratica le abitazioni sono fatte di materiali avvitati gli uni sugli altri senza l’uso di colle, cemento o calce. Nei vari strati costitutivi dei muri e dei solai viene utilizzato un materiale di coibentazione termoriflettente ultrasottile di derivazione aerospaziale. Lo impiega la Nasa per le tute degli astronauti, gli shuttle e i satelliti. Lo scheletro portante delle case inoltre è realizzato in cfs, cold formed steel, il cosiddetto acciaio zincato a caldo strutturale profilato a freddo.

L’Università di Napoli sta tentando, insieme all’azienda avellinese, di adattare questo “pacchetto” all’esigenza di proteggere il più possibile gli edifici dal rischio vulcanico. Al momento sono in corso studi di fattibilità per arrivare il prossimo anno al brevetto.
“Noi forniamo case chiavi in mano nel giro di tre mesi, pensiamo che per lo scudo, che va applicato sulle strutture esistenti, impiegheremmo una settimana” racconta Giuseppe Maisto , architetto e progettista Irondom.  Non solo. Anche i prezzi non sarebbero proibitivi. “Un sistema di protezione classico richiede dai 300 ai 370 euro al metro quadro – aggiunge Maisto – il nostro “cappotto” molto più performante verrebbe a costare la metà”.
Se la cosa andasse in porto, secondo la Irondom, non ci sarebbe solo un guadagno in termini di prevenzione e resilienza del territorio ma anche un vantaggio economico per tutto l’indotto locale. “Certo c’è da fare anche un lavoro culturale – ammette Maisto – bisogna spiegare bene alla gente che rischio corre e che ha un sistema per salvarsi”.

Uno studio pilota sulla vulnerabilità vulcanica dell’ambiente urbano, condotto su un campione di 300 strutture a   Torre del Greco, coordinato dall’Università Federico II di Napoli, ha evidenziato che gli edifici esistenti nell’area non sono in grado di resistere   nemmeno a un’eruzione sub pliniana di tipo uno (come quella del 1631). Un evento preso come scenario di riferimento per l’elaborazione del piano nazionale di emergenza, di minore intensità rispetto all’eruzione del 79 D.C che distrusse Pompei ed Ercolano.
La minaccia è concreta. Anche se il vulcano è in quiescenza   dal 1944, resta attivo ed è uno dei più pericolosi al mondo perché l’area è fortemente urbanizzata, complice l’abusivismo edilizio. L’ultima rilevazione di Legambiente ha registrato ventisettemila abusi penalmente rilevanti nella cosiddetta zona rossa, quella più a rischio (comprende 25 comuni e la parte orientale della città di Napoli)
Il tutto in un contesto già alle prese con una serie di problemi. Dalle discariche abusive disseminate nel parco, ai rischi legati al dissesto idrogeologico acuito, come denunciano le associazioni ambientaliste, dagli incendi dell’estate del 2017 che hanno distrutto il 50 per cento della superficie forestale del vulcano.
Così una parte della comunità scientifica non nasconde la preoccupazione per quello che potrebbe accadere in caso di eruzione. Di scenario “estremamente problematico” parla l’ingegnere termo-fluidodinamico Flavio Dobran, docente presso la New York University,   tra i più importanti studiosi del Vesuvio e dei Campi Flegrei. Il professor Dobran ha elaborato un simulatore dell’eruzione vulcanica, un modello fisico-matematico-informatico in grado di ricostruire le eruzioni passate per valutare quelle future. La sua conclusione è che l’attuale piano di emergenza della protezione civile è “inaccettabile”. Il piano prevede l’evacuazione degli abitanti della zona rossa in regioni italiane gemellate. Il tutto a seguito di un’analisi qualitativa dei fenomeni premonitori dell’eruzione.

“Si tratta di un’analisi estremamente complessa per questo tipo di eventi” – spiega l’ingegnere ricercatore dell’Enea, Maurizio Indirli, già responsabile dello studio pilota su Torre del Greco – chi se la sentirebbe di dare l’ordine di evacuazione in anticipo, con l’eventualità di un falso allarme? Lo spostamento di circa 800 mila persone potrebbe avvenire ad eruzione imminente o in corso, con enormi problemi logistici, sociali e culturali”.
Per questo, Indirli è d’accordo con il cosiddetto Pentalogo Vesuviano-Campi Flegrei di Dobran. Una proposta che richiede tra le altre cose, nel medio-lungo termine, una ridefinizione del territorio in questione in tre zone di pericolosità. Una di esclusione, in cui non si dovrebbe più abitare.   Una di sostenibilità, più lontana dal cratere, per consentire insediamenti temporaneidegli abitanti a rischio in caso di eruzione. In mezzo una cintura di resilienza,in cui gli edifici dovrebbero rispettare norme di costruzione basate sugli scenari dei massimi terremoti e delle massime azioni vulcaniche possibili. Proprio qui troverebbe applicazione il “cappotto” studiato dalla Università Federico II insieme all’Irondom.ù

Cit.: di Matilde Cardaciotto Tempi Moderni” Un “cappotto” per i palazzi del Vesuvio.
La Stampa.it – GNN – GEDI Gruppo Editoriale S.p.A  [Roma] 24 Gennaio 2019
Fonte: https://www.lastampa.it/2019/01/24/scienza/un-cappotto-per-i-palazzi-del-vesuvio-cejrhqPL2BQaFxwzZ16ZQI/premium.html